Quarant’anni di battaglie non sono serviti a nulla.

La Consulta ha bocciato la proposta affinché potesse essere il popolo ad esprimere il proprio parere e decidere se “il fine vita” debba essere considerato un giusto atto di pietà oppure un omicidio legalizzato. Certamente il movimento referendario non smetterà di battersi, ma tutto dovrà ricominciare partendo da zero.

L’argomento che riguarda l’autorizzazione all’eutanasia in casi di comprovata impossibilità a proseguire un’esistenza più o meno simile a quella di una pianta, con la differenza che quest’ultima pare non soffra, è oltremodo delicato e divisivo. La nostra formazione cattolica ha sicuramente un peso importante, ma la questione dovrebbe trascendere il lato fideistico per venir analizzata umanamente.

Personalmente ho un’idea ben precisa ed è quella che impone a ciascun essere vivente di non privare della vita un suo simile, ma accanto a questo teorema anche quello che ognuno di noi ha il diritto di decidere del proprio destino. Anche quello legato ad un fine vita stabilito in piena coscienza e non perché, come accade in certi Paesi del Nord Europa, vi sia la libertà di andare in farmacia e acquistare un kit per la dolce morte.

Viene spontaneo ripensare a “casi” che hanno riguardato da vicino il gioco del calcio e alcuni dei suoi protagonisti. Da Signorini a Borgonovo fino a Pietro Anastasi, tre campioni ammalati e poi uccisi da quella Sla che non lascia scampo e che prevede un trapasso atroce dopo anni di sofferenza sempre più crescente sino al limite del sopportabile. Francamente nessuno di noi può sapere quali pensieri intimi abitassero i loro cervelli e i loro cuori. E’ comunque molto probabile che, in un certo giorno e ad una certa ora, ciascuno dei tre abbia supplicato il Padreterno di permettere alla sua anima di staccarsi da un involucro assurdo.

Se vivessimo in un Paese appena “normale”, dove la distinzione tra diritti e doveri fosse ben netta e argomentata, sono certo che il referendum popolare sul “fine vita” avrebbe già avuto luogo da molto tempo e che, con ogni probabilità, il risultato sarebbe stato quello di consentire a coloro che bon ne possono davvero più di dare un senso alla loro partenza così come ha avuto un senso il loro arrivo. Non è così. Si preferisce traccheggiare sul confine dell’equivoco invocando un’etica cattolica oscurantista, come accadeva per l’aborto che favoriva soltanto mammane e delinquenti. La speranza al momento rimane, purtroppo, quella di poter contare su un medico amico, coraggioso e misericordioso.

( articolo di Marco Bernardini )