Cos’è il liberalismo perduto? È quel male oscuro che ammorba il Paese e che viene dagli albori della nostra Repubblica, quando il nostro Paese libero e liberale fu pesantemente condizionato dal più grande movimento comunista d’Europa, contrapponendo una diversa visione dello stato, dell’economia, della società, facendo sì che la matrice liberale andasse a scomparire. Da quel momento ha prevalso lo statalismo, la burocrazia sempre più asfissiante e attraverso l’uso indiscriminato della spesa pubblica è diventato il Paese sopraffatto da lobby, corporazioni, protezionismi, il Paese dei diritti acquisiti a prescindere, se il tempo li ha tramutati in privilegi e, come disse Sergio Marchionne, una società che vive di soli diritti è una società che muore.
Ci può piacere o meno, ma è un pezzo d’Italia reale, è l’Italia, che campa di debito pubblico e che sempre si è opposta hai processi di innovazione e modernizzazione e lo fa anche oggi davanti al fardello dei danni pandemici, all’emergenza climatica, alla inevitabilità di una economia di guerra. Populismo, sovranismo non sono fenomeni del momento, sono i cardini culturali e politici di questo pezzo di società, che va oltre i 5S, va oltre Salvini, va oltre la Meloni. Scomparsi loro non scompare il populismo né il sovranismo, è una battaglia culturale prima che elettorale. A questo pezzo di società si contrappone quella che riconosce la centralità dell’impresa come luogo in cui si costruisce la ricchezza del Paese, del riconoscimento del merito e della competenza, per rimettere in moto l’ascensore sociale bloccato dall’egualitarismo, della concorrenza condizione essenziale per dare dinamicità al sistema produttivo, dell’eguaglianza delle opportunità attraverso cui affermare la vera giustizia sociale.
È un’Italia spaccata in due, società chiusa e illiberale contro la società aperta e liberale, ma se l’Italia vuole essere competitiva nel sistema globale è la seconda che deve emergere, non c’è alternativa. Il punto dolente è che la società liberale non ha mai trovato rappresentanza nel sistema politico italiano. Ecco il partito che non c’è. L’unico tentativo è stato Forza Italia, ma è Berlusconi che l’ha resa un progetto incompiuto, un’anatra zoppa fino a portarla alla sua deflagrazione di oggi per il proprio tornaconto personale. Il nostro bipolarismo dei guelfi e ghibellini, perennemente alimentato da luce riflessa da anni 70, la rappresentanza della società liberale non l’ha mai contemplata. La contesa elettorale verte ieri come oggi sulla rappresentanza della società chiusa illiberale. Una sorta di partito unico dello statalismo imperante, dove lo schema destra/sinistra serve a determinare la parte egemone, niente più. L’abbiamo chiamata logica dell’alternanza.
Le prossime elezioni sono le ultime in ordine cronologico di questo schema perverso, che esclude la parte dinamica del nostro Paese, che è poi quella che ci permette di regger botta. Renew Italia deve essere rappresentante e interprete della società libera aperta e lo deve fare nel modo più inclusivo possibile, perché è da questo pezzo di società che deve formarsi ed emergere la sua futura classe dirigente e quella del Paese. Non conta e non deve contare la provenienza politica, deve contare la determinazione con cui ognuno di noi, in base alle sue capacità, persegue questo obiettivo. Nessuno si deve arrogare il diritto di esercitare una “golden share” in nome di un passato più o meno glorioso, quanto insignificante.
Se alla fine della fiera Italia Viva e Azione si accontenteranno di fondersi tra loro, tradiranno le aspettative di tutti coloro che, sentendo sulla propria pelle il bisogno di liberalismo nella società, nelle istituzioni, nell’economia, il 25 settembre andranno a votare per il terzo polo. La lista Italia sul serio, l’agenda Draghi, il metodo Draghi, possibilmente riportare Draghi al governo del Paese sono la base di partenza, il cui consenso è direttamente proporzionale alla percezione della gente che questa volta non è un bluff, questa volta facciamo sul serio e ci mettiamo la faccia.