I dati sono sconfortanti, inutile girarci intorno, e a certificarlo è Eurostat: i livelli d’istruzione della popolazione in Italia ci collocano al penultimo posto dell’Unione, davanti solo alla Romania. Lontanissimi dalla media degli altri Paesi europei, sono moltissimi (4 su 10) gli italiani che ancora non hanno neanche il diploma. Meno di uno su sei, poi, ha conseguito la laurea.

Un dato negativo, anzi negativissimo, che la politica non può ignorare. La buona politica, intendiamoci, perché sta tutto qui il rischio della tenuta democratica del Paese, alle prese con una deriva populista che non ha precedenti. Proprio laddove vengono meno l’istruzione, la cultura, le migliori espressioni di una società, infatti, si annida il rischio totalitario.

Guardiamoci intorno: la politica italiana è ormai priva di alcuna gerarchia valoriale, bloccata sulla contrapposizione dialettica, amplificata dai social, tra élite e popolo. Niente più limiti, morale, cultura, civiltà, gerarchia, etica, solo la forsennata rincorsa di un consenso malato di presentismo, di un nichilismo senza passato e senza futuro. Una buona destra per poter governare una comunità delusa verso un nuovo rinascimento politico, sociale e culturale ha bisogno di una classe dirigente composta dalle espressioni migliori della società. Senza tanti giri di parole, alla politica italiana, e soprattutto ad una buona destra, serve un ritorno alle élite, perché una società che funziona deve essere in grado di scegliere tra il giusto e lo sbagliato, tra il bello e il brutto, tra i sentimenti peggiori dell’animo umano e i migliori.

Serve una politica aristocratica, per merito e non per sangue, per uscire dal gregge e non per restarci dentro. Serve anzi una democrazia aristocratica, laica, liberale, in grado di formare e scegliere i migliori attraverso un fondamentale mix tra buona scuola e buone regole. Più il paese investe nel sistema scolastico più i cittadini avranno gli strumenti culturali per scegliere bene; più la forma di governo esalterà le responsabilità più i politici sentiranno il dovere di ritornare a essere migliori. Se oggi anche i dati sull’istruzione sono così sconfortanti, se viviamo in una società appiattita dalla vulgata populista, è perché in Italia le élite hanno abdicato al loro ruolo di guida, rinunciando a credere nella politica e assuefacendosi alla globalizzazione e al liberismo come uniche prospettive. L’élite ha voluto credere che non ci fosse alternativa a tutto questo senza rendersi conto che se non c’è alternativa non c’è nemmeno bisogno di una guida, di una leadership, di qualcuno che prenda le decisioni.

Non esistono più in Italia oggi élite che rappresentino
un’aristocrazia del merito? Forse. E allora bisogna attivarsi
per crearne delle nuove. Come? Con talento e impegno, con la volontà di mettere
la propria qualità al servizio dell’impegno civile, superando, soprattutto a
destra e da destra, la visione di amministratori della cosa pubblica scelti per
censo, per privilegio di classe o di partito, per baronia, familismo o
clientelismo.

Bisogna investire in cultura, educazione, ricerca, università. Se ha sul serio a cuore
il benessere della comunità, una buona destra ha il dovere di fare quello che
quasi tutti i paesi occidentali hanno continuato a fare: costruire scuole,
teatri, cinema, università, campus, musei; investire molto più di quel che
l’Italia fa nelle cattedrali (materiali e immateriali) culturali; rilanciare quella
grande tradizione rinascimentale che ha saputo gettare la basi della modernità.
Scommettere, insomma, nella formazione in tutte le sue possibili declinazioni:
scolastica, sociale, professionale, tecnica, scientifica, umanistica. E,
ovviamente, politica.