Mario Sommossa
Ci ho provato, ma proprio non riesco a capire cosa veramente volessero tutti quei manifestanti che hanno sfilato sabato 2 marzo a Milano. Ufficialmente, il loro corteo era “antirazzista”, cioè si manifestava il disaccordo con un presunto “razzismo” esistente in Italia.
Sono andato a vedere sulla Treccani cosa significhi la parola e trovo: razzismo. Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una
prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore”. Ora, che tale teoria, tra l’altro principalmente basata sul Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1853-55) di J.-A. de Gobineau, sia stata ampiamente praticata nei secoli passati è cosa risaputa ma è altrettanto evidente che, oggi, né in Italia né in altri Paesi europei tale sentimento sia particolarmente diffuso. Può darsi che su sessanta milioni di italiani un qualche centinaio di loro lo creda ancora, ma credo che tutto il resto della popolazione lo trovi una stupidaggine. Noi siamo “bianchi” e siamo contenti di esserlo, ma non pensiamo con ciò di essere superiori a “gialli”, “neri” o “rossi”. Direi perfino che, almeno nel caso degli asiatici, ci sentiamo ammirati di molti aspetti della loro secolare cultura, alla quale abbiamo spesso attinto nel corso dei secoli.
Ebbene, se nessuno (o quasi) è razzista nel vero senso della parola (e chi nella nostra lingua è più affidabile della Treccani?) contro chi o cosa manifestavano quelli che hanno occupato le strade di Milano?
Devo immaginare che qualcuno tra loro volesse affermare che le “razze” non esistono, ma questo, vero o falso che sia, è un discorso di carattere tecnico e ci sarebbe da diffidare da chi pretende di alzare la voce per imporre una teoria scientifica o l’altra. Comunque sia, la comunità scientifica

ha già deciso di non utilizzare più il termine “razza” nei confronti della specie umana e lo ha sostituito con altre definizioni tipologiche: “Quelle che in passato, sulla base del pensiero scientifico del XIX secolo erano comunemente definite “razze” – come la bianca, la nera o l’asiatica – sono oggi definite “tipi umani”, “popolazioni” o “etnie”, a seconda dell’ambito genetico, antropologico o sociologico nel quale esse vengono considerate” (Wikipedia).
Come spiegazione non resta allora che ipotizzare che la protesta fosse di pura contestazione alla politica anti-immigrazioni attuata dal ministro dell’Interno Salvini. In altre parole, chi manifestava si dichiarava contrario alle leggi italiane (e di qualunque Stato) che obbligano qualunque straniero ad entrare nel nostro territorio solo se gli viene riconosciuto, formalmente e secondo le leggi, il diritto a farlo.
A parte il fatto che un enorme numero dei manifestanti era composto proprio da coloro che si trovano in Italia illegalmente, cosa domandavano gli altri? Forse che siano aboliti i confini? Che chiunque abbia il diritto di venire da noi soltanto se lui stesso lo desidera e senza che noi si possa discriminare gli ingressi? Che, qualunque siano le loro motivazioni, noi si sia obbligati a mantenerli e alloggiarli? Purtroppo, per quanto queste intenzioni siano irrazionali e contro ogni buon senso, temo che, almeno inconsciamente, siano proprio queste le motivazioni di quei dimostranti.
È assurdo che rappresentanti delle Istituzioni, in primis il Sindaco di Milano, si siano dichiarati a favore di quella iniziativa. Certamente si sono sentiti molto “buoni”, molto moderni, “accoglienti”. Tuttavia gli elettori dovrebbero ricordarsi, al momento del voto, chi è a favore di un’accoglienza indiscriminata e chi, invece, pensa a cosa significhi appartenere a una precisa comunità, a cosa sia o debba essere uno Stato, a come si tuteli la pace sociale e la sicurezza dei cittadini.
Non è necessario credere a una presunta superiorità di una “razza” o di una ”etnia” sulle altre. Basta ricordare che ogni individuo, per sentirsi parte di una comunità deve riconoscersi in una identità collettiva e, quando gli “stranieri” sono percentualmente numerosi e si riconoscono tra loro come “diversi” da chi li ospita, la conflittualità aumenta.
Senza contare che noi attraversiamo oggi una crisi che è contemporaneamente finanziaria (debito pubblico) ed economica (disoccupazione) e che la stragrande maggioranza degli “stranieri” non avrà alcuna opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro. Tantomeno di integrarsi pacificamente (sempre che lo vogliano, cosa affatto garantita) nella nostra società. È naturale che, non avendo lavoro né sicure prospettive, molti siano quelli che si dedicano ad attività illegali e addirittura criminali. Ne consegue che la diffidenza nei loro confronti sia un fenomeno istintivo e assolutamente comprensibile. Giusto? Sbagliato? È soltanto la realtà, ci piaccia oppure no. Non è un caso che non solo in Italia, ma in tutta Europa e addirittura in tutto il mondo, queste “invasioni” causino una crisi di rigetto crescente. Certamente, con il tempo, la maggior parte dei nuovi arrivati potrà essere percepita come parte di un “noi” ma ciò che già succede in Francia, Gran Bretagna e Germania dove gli “stranieri” sono percentualmente ancora più numerosi dimostra che quel “tempo” sarà molto ma molto lungo. E nell’attesa che ciò succeda, delinquenza, conflitti sociali, disordini vari anche violenti imperverseranno. Anziché simpatizzare con questi abusivi, ogni politico veramente responsabile dovrebbe porsi il problema, come fa Salvini, di ridurre il numero degli arrivi irregolari scoraggiandoli ed espellere tutti quelli che non hanno alcun titolo a rimanere da noi.
E anche i giornalisti la smettano di parlare di manifestazioni come quella di Milano quasi come si tratti di una normale espressione politica. A Milano, tanti o pochi che fossero, sono scesi in piazza degli irresponsabili che hanno gettato un minimo di loro buon senso nel bidone della spazzatura.
L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.