Spiace doverlo scrivere ma essere professori universitari non significa
necessariamente essere dei geni. Purtroppo, come sappiamo che una
laurea non è sinonimo d’intelligenza (quanti cretini sono riusciti a
laurearsi!), anche essere degli accademici non vuol dire saper guardare di
là dalla punta del naso.
Mi vengono queste riflessioni nel leggere del rapporto costi-benefici in merito alla linea
ferroviaria alta velocità nella tratta Torino-Lione. E’ bene dire subito che chi ha pensato
che una decisione su tale progetto dovesse basarsi su un calcolo ragionieristico-aritmetico
di entrate e uscite mostra una piccolezza di spirito e di vedute nemmeno degno di un
piccolo droghiere di un villaggio sperduto nella pampa argentina. Ancora peggio se chi l’ha
fatto è addirittura membro di un Governo o maggiorente di un partito che si propone come
“innovatore”, ” salvatore” della patria e, “moralizzatore” di malefatte precedenti.
Costui (o costoro) non ha considerato che non stiamo parlando di un’opera interna al
nostro Paese e che riguarda 200 chilometri di percorrenza, bensì di un piccolo pezzo di
una ferrovia di 2000 chilometri che andrebbe da Kiev a Lisbona, con una deviazione per
Algeciras. Il progetto, approvato a suo tempo da tutti i Governi coinvolti, rientra in quel
piano europeo delle infrastrutture che ridisegna tutte le vie di comunicazione attraverso
direttrici che attraverseranno il continente da sud a nord e da est a ovest e che vanno
sotto il nome di “Corridoi”. Nel corso dei secoli le strade di ogni genere sono state la
condizione indispensabile per gli spostamenti di merci e di persone favorendo, ove
arrivavano, lo sviluppo culturale ed economico. Non è un caso che gli snodi di queste vie
di comunicazione siano sempre stati considerati strategici e abbiano rappresentato gli
obiettivi principali di ogni commercio e, ahimè, anche di ogni guerra. Nel nostro piccolo si
pensi, ad esempio, a cosa fossero, come cultura dei suoi abitanti e sviluppo del lavoro, le
valli bergamasche prima che si realizzasse l’autostrada Torino-Venezia. Se si guarda alla
cartina, si vedrà che non è una linea retta ma piega a nord verso Bergamo per poi
ridiscendere a sud-est. Chi la progettò lo fece esattamente con lo scopo di “legare” anche
quelle zone, un tempo depresse, all’economia più florida delle pianure. E ci riuscì.
Veniamo però a noi. Quando in Europa si decise di finanziare (in parte) la direttrice estovest,
tedeschi e spagnoli volevano che la linea passasse a nord delle Alpi, tagliando fuori
proprio l’Italia che stava a sud. Furono i nostri politici di allora, certo più lungimiranti di
molti degli attuali, che si batterono come matti cercando e trovando degli alleati per
ottenere il percorso poi approvato. Se fosse passata l’ipotesi alternativa, migliaia di piccole
e medie aziende italiane dal Friuli al Piemonte avrebbero dovuto sopportare, nel futuro,
costi logistici molto maggiori dei loro concorrenti nord europei in ogni operazione
d’importazione e d’esportazione. Con noi ne avrebbero sofferto, seppur in misura minore,
anche la Slovenia e il sud est della Francia. Dico in misura minore perché la Slovenia ha
comunque i suoi collegamenti già attivi ed efficaci con l’Austria e la Francia ha già una rete
di alta velocità su tutto il suo territorio e Lione avrebbe potuto congiungersi facilmente con
la rete che sarebbe passata un po’ più a nord. Certo è che se l’Italia rinunciasse a
completare il corridoio per quanto di sua competenza, il progetto alternativo a nord delle
Alpi riprenderebbe valore, se non altro per la volontà di tutti gli altri Paesi oggi già coinvolti.
Il ridicolo della situazione non riguarda però soltanto l’atteggiamento provinciale di chi ha
voluto un calcolo costi-benefici per di più limitato ai duecento chilometri italiani e ai soli
quaranta anni: riguarda anche le valutazioni fatte proprio sulle cifre che sono citate. I
“professoroni” parlano di entrate minori per alcuni miliardi dovuti al ridotto uso di
carburante dei mezzi che utilizzerebbero invece il tunnel ferroviario. Mettendo da parte
ogni ragionamento ambientalistico (ma i Cinque Stelle non sono anche contro il TAP e le
trivelle per ragioni ambientali?), qualcuno ricorda che noi siamo importatori netti di
idrocarburi e che più se ne consuma più penalizziamo la nostra bilancia commerciale?
Comunque, se ciò non importasse e le entrate immediate dello Stato tramite accise
fossero la sola cosa che conta, perché non chiudiamo tutte le ferrovie che già esistono e
favoriamo piuttosto il traffico su ruota? Immaginate quanta benzina e gasolio in più si
potrebbe consumare aumentando le code sulle autostrade tra Milano e Roma e tra Roma
e Napoli! Che cosa dire poi dei mancati introiti per il gestore dell’autostrada? E’ calcolato
come perdita, ma di chi?
Chi dice poi che l’alternativa sarebbe di rimodernare il tunnel già esistente (che
dovrà in ogni caso essere chiuso per mancanza di condizioni di sicurezza) ha
calcolato i costi che ne sarebbero coinvolti? Salvo che si pensi di rinunciare all’alta
velocità, occorre pensare al rifacimento di tutta la linea oltre alla dimensione del
tunnel stesso, troppo piccolo per il transito degli attuali autotreni.
Infine, perché nel loro calcolo piccino piccino i professoroni non hanno evidenziato quanto
pesa il co-finanziamento europeo sul costo totale dell’opera? E quanto ci costerebbe in
termini di perdita di credibilità?
Negli anni del ’68 qualcuno auspicava la “fantasia al potere”. Non se ne fece nulla,
fortunatamente. Oggi però si è fatto di più: al potere è arrivata, altezzosa e presuntuosa,
l'”incompetenza”.
Mario Sommossa, da Sputnik